Scorrendo le pagine del libro con il quale Ignazio La Spina, sull’onda di ricordi intensamente e commossamente vissuti ha voluto onorare la memoria del padre, appare evidente una delle caratteristiche forti del nostro tempo: il desiderio di ricordare, di recuperare determinati valori, di cercare qualcosa che possa, in certo qual modo, procurare conforto alla tensione che segna i giorni che viviamo.
     Come molti di noi, l’autore di questo libro gode di quel che considero un singolare privilegio, e cioè il poter porre gli anni della propria vita tra la fine e l’inizio di un secolo, tra la fine e l’inizio di un millennio!
      Quasi un giuoco di parole, che però ci fa riflettere tanto…. Qualche anno fa, l’opera di uno storico inglese, Eric Hobsbawm, definiva efficacemente il Novecento - quasi a volerne sottolineare con uno slogan la caratteristica principale - il “ Secolo breve ” : contrassegnato da enormi progressi in ogni campo, ma su cui grava l’ombra lunga di massacri disumani, di guerre mondiali, di nefaste ideologie totalitarie, di rivoluzioni.
       L’ultima di esse è ancora in atto, e cioè la cosiddetta rivoluzione dell’”Homo videns”, che vede i media ormai compagni di strada imprescindibili del nostro vivere quotidiano, e di cui ci sfuggono la portata ultima e le conseguenze che si proiettano in una futura “lunga  durata” dagli innumerevoli risvolti.
“Pensiero unico”, “globalizzazione” : prospettive vincenti?
       Il mondo che emerge dalle pagine di Ignazio La Spina è molto lontano da tutto ciò. In esse è ancora protagonista la comunità, piuttosto che una società nel senso attuale del termine; una comunità che non esiterei a definire “mediterranea”, con il suo culto della memoria, la sacralità dei legami familiari, dell’amicizia , che affida all’uso del dono un messaggio di affetto e di solidarietà e ruota attorno alla figura del protagonista e
alla sua vicenda umana e professionale.
      Una vicenda privata, che non manca tuttavia di offrire spunti di particole interesse, momenti di riflessione e stimoli alla conoscenza o all’approfondimento, soprattutto per il lettore giovane, di un tempo che altro non è che il nostro “passato prossimo”.
       Di notevole interesse l’apparato iconografico, che completa degnamente lo spaccato di un’epoca delineato dall’autore attraverso la narrazione della vicenda paterna.
        Il giovane medico avrà un’efficace testimonianza di diagnosi, metodologie, rapporti deontologici relativi ad una “ età storica” della medicina, che precede di poco il rivoluzionario avvento degli antibiotici; più in generale, si ha modo di apprezzare una varia documentazione di prima mano, non sempre facilmente reperibile.
         Dagli ampi brani di prosa, caratteristica del periodo che gli storici della letteratura definiscono “tra le due guerre”, alla ossequiosa richiesta di una visita per la Perpetua malata, da parte di un parroco che si preoccupa soprattutto di augurare buona salute al “ dottore” e ai suoi familiari; dal decreto di un “Ministro della guerra”, allo smarrimento di un detenuto accusato di diserzione  che “ferito in combattimento alla piana di Catania …in seguito allo sbandamento dell’esercito me ne sono andato a casa, seguendo l’esempio di tutti compreso anche i miei superiori”.
       
Emblematica poi, sul piano storico, la testimonianza di un ingegnere italiano in Bulgaria che, ricevuti i “giornali italiani”, vi legge “ l’esito veramente grandioso che hanno avuto le elezioni politiche”; che è orgoglioso della Patria, ormai “termine di paragone per ogni cosa”, soddisfatto di non sentirne parlare più “nel modo di una volta “ e di vedere anteposto il nome di Mussolini “a tutti gli uomini politici….come esempio mirabile da imitarsi”.
       
E’ il 1924: siamo piuttosto lontani dagli anni che Renzo De Felice, come è noto, avrebbe poi chiamato “ gli anni del consenso “!
          Un tempo, una vita, la storia privata di un medico, dunque, che non può risultare legata, per molti aspetti, alla grande storia, cioè alla storia di noi tutti. Se è vero infatti che dire tutto è storia è certamente un troppo semplicistico, non è da dimenticare, come soleva ripetere Georges Duby, “ che la storia è perlomeno grande ed estesa come la vita”.
             
Alfio Stefano Di Mauro
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